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Le passanti

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Jean Seberg

Mi concentro soprattutto sulle bionde. Mi blocco, molto più che sulle altre. Non so cosa mi stupisca tanto. Forse è perché ogni volta mi accorgo – lentamente, inesorabilmente – del fatto che possa esistere un’altra bellezza oltre alla tua, che è stata l’unica per così tanto tempo. La tua bellezza bruna di cui andavo così fiero… Le more, le guardo poco o niente. Come se il mio sguardo si rendesse conto che non vale la pena indugiare. Perché nessuna mora può essere bella come te. I capelli biondi, invece, mi turbano. Certo, non mi mozzano il fiato, non mi fanno tremare e non mi fermano il sangue; tutte cose che ho provato quando ti ho visto per la prima volta, in quell’aeroporto. Ma questo stordimento istantaneo è già qualcosa. Lo accolgo. Lo lascio filtrare attraverso le viscere. Mi serve. Vuol dire che sono ancora vivo.

Sì, malgrado tutto il resto, sono ancora vivo.

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Sirat Al Bunduqiyyah

Parigi, Rue Cadet
Grand Loge de France

“Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in calle dell’amor degli amici; un secondo vicino al ponte delle Maravegie; un terzo in calle dei marrani a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani (e qualche volta anche i maltesi…) sono stanchi delle autorità costituite, si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie”
Hugo Pratt, Favola di Venezia

A Capaci “Lombardo non è gradito”. I rapporti di “Iblis” con i boss

Vent’anni fa: 17:58, 23 maggio 1992. E’ stato quel giorno, nell’istante stesso che separa l’ordine elettronico dato ad un detonatore e l’esplosione dell’ordigno, che qualcosa si è interrotto: l’omertà. Il rispetto. L’innocenza. La vita di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, e di tre uomini della loro scorta. E qualcos’altro invece è cominciato: le bombe. Le stragi. La caccia all’uomo. La Seconda Repubblica. Quante cose può distruggere mezza tonnellata di tritolo? Tante, troppe.

La vita di Maria Falcone è finita quel giorno. E poi – lentamente, nonostante tutto – è ricominciata. All’epoca insegnava economia e diritto nei licei. È stata lei, la sorella di Giovanni, a volere fortemente la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, nata a Palermo il 10 dicembre di quello stesso anno maledetto: il ‘92. Quattro anni dopo la Fondazione ha ottenuto un importantissimo (ed ambitissimo) riconoscimento dall’ONU, che ha concesso lo status di ONG, organizzazione non governativa, al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite.

Ogni anno, da vent’anni a questa parte, la Fondazione organizza una serie di eventi per commemorare quella strage. Ma non solo, perché l’organizzazione si occupa della promozione di attività culturali, di ricerca e di studio; vorrebbe rappresentare, come ha detto più volte la stessa Maria Falcone, “tutti i morti per mafia”, ed è impegnata nello “sviluppo di una cultura antimafiosa nella società, e nei giovani in particolare”.

 

Il 23 maggio le celebrazioni dell’anniversario, in occasione del ventennale, hanno un significato particolare. È notizia di qualche giorno fa che il Presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, non ha ricevuto l’invito alla commemorazione, a differenza di altre importanti cariche. “Non è persona gradita”. Maria Falcone, interrogata dai giornalisti sul motivo del gesto, ha commentato:

‘La fondazione Giovanni e Francesca Falcone che rappresenta tutti i morti per mafia non può permettersi d’ invitare persone che sono sospettate di avere avuto contatti con Cosa nostra. A prescindere da come vada a finire l’udienza preliminare in cui il giudice deciderà se rinviare a giudizio Lombardo non possiamo avere tra gli invitati una persona per cui una procura ha chiesto il rinvio a giudizio per mafia. Sarebbe stato un bel gesto da parte di Lombardo dimettersi dalla carica che ricopre”

Lombardo è indagato dalla procura di Catania nell’inchiesta Iblis (“Diavolo” in lingua araba). Tutto ha inizio il 29 marzo 2010, quando un articolo de La Repubblica rivela: “Lombardo sotto inchiesta a Catania.Concorso esterno con la mafia”. Il fascicolo aperto dal procuratore Salvatore D’Agata si basa su un rapporto di tremila pagine redatto dai carabinieri del Ros, frutto di oltre due anni di indagini. Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo, deputato Mpa, sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa.

L’indagine procede finché il procuratore Michelangelo Patanè e l’aggiunto Carmelo Zuccaro decidono di esautorare i quattro pm titolari dell’inchiesta; stralciano la posizione dei fratelli Lombardo (derubricando il reato a “voto di scambio”) e chiedono l’archiviazione. Richiesta che il Gip di Catania Luigi Barone ha respinto, disponendo invece l’imputazione coatta. L’udienza preliminare si è tenuta il 24 maggio.Coincidenze.

Al Governatore verrà chiesta spiegazione dei suoi“rapporti diretti e indiretti con rappresentanti di Cosa Nostra”, rapporti non solo documentati, ma “provati in punta di fatto”, come hanno scritto i pm. Un contatto per niente “occasionale, né marginale”, anzi. I magistrati lo definiscono “cospicuo, diretto e continuativo”, volto ad assicurare “il costante e consistente appoggio elettorale della criminalità organizzata”.

Le prove. I carabinieri filmano la festa in onore di Angelo Lombardo, eletto deputato, che arriva al party con un Suv di grossa cilindrata (una Audi Q7 intestata all’Mpa), e si intrattiene con ospiti poco “raccomandabili”. Ma soprattutto i carabinieri registrano. Registrano le telefonate dei bossVincenzo Aiello, ritenuto uno dei capi di Cosa Nostra a Catania (secondo alcuni, addirittura il capo dei capi, eletto da Nitto Santapaola in persona);Raffaele Bevilacqua, boss di Enna; Rosario Di Dio, considerato un “esponente di primissimo piano” del clan Ercolano Santapaola.

“Da me all’una e mezza di notte è venuto. Ed è stato due ore e mezza qua da me, dall’una e mezza alle quattro di mattina. Si è mangiato sette sigarette”, dice quest’ultimo ai suoi picciotti, parlando di Raffaele Lombardo, “Raf” per gli amici. Come per il boss Bevilacqua, già assessore provinciale DC, esponente di spicco del “gotha della mafia nissena”, che con Lombardo prende appuntamenti e ha diversi scambi telefonici.

Legami accertati, dunque. Intercettazioni telefoniche, filmati. Ma Lombardo respinge tutte le accuse, liquida l’intero quadro probatorio: “Si tratta di un complotto politico”. Un’ipotesi sostenuta tenacemente anche daGioacchino Genchi, già consulente proprio per le stragi di Capaci e Via D’Amelio, che ha accettato l’incarico di difendere il Presidente siciliano (fatto insolito per il perito, che non ha mai fornito consulenze private, ma ha sempre lavorato per l’Autorità Giudiziaria). Genchi denuncia “un complotto di dimensioni titaniche” a danno di Lombardo e afferma di poter dimostrare che le accuse a suo carico sono “infondate”. Si vedrà.

Restano intanto quelle telefonate, quegli incontri nel cuore della notte, quelle relazioni pericolose. E resta la volontà, da parte di Maria Falcone, di non scendere a compromessi. Un’ostinazione che a quanto pare è un fattore genetico nella famiglia Falcone. E che non viene meno neppure quando in gioco vi sono personaggi che fanno paura. Che si chiamino Aiello, Lombardo o “Iblis”

Sartre spiato dai Servizi Segreti canadesi

Quando il Canada era in guerra con il Fronte di Liberazione del Québec

di Emanuele Midolo

Due volumi, 234 pagine di informazioni raccolte nel corso di più di vent’anni. Una serie di notizie meticolose sulla sua vita privata, dalle relazioni sentimentali alla situazione finanziaria, con un occhio attento alle possibili imputazioni giudiziarie, di modo da rendere giustificabile un’eventuale espulsione. È il dossier “Sartre”, redatto dalla Gendarmerie Royale du Canada, i servizi segreti canadesi.

Un fascicolo voluminoso, comprensivo di articoli, interviste e dichiarazioni pubbliche scrupolosamente tradotte al fine di svelare intenzioni e progetti che potessero riguardare l’appoggio alla causa degli indipendentisti del Fronte di Liberazione del Québec.

I documenti, resi pubblici dall’agenzia di stampa canadese in virtù della legge sull’accesso alle informazioni riservate, sono stati desecretati a vent’anni dalla morte dell’interessato (Sartre è scomparso nel 1980). Alcuni passaggi di quel dossier rimangono tuttora segreti.

Riporta l’agenzia la Presse Canadienne:

“Il direttore per le informazioni e la sicurezza della GRC, L. R. Parent, avvisò il Ministero degli Affari Esteri, nel marzo 1971, che il filosofo sarebbe dovuto passare da Montreal, prima di recarsi in California per assistere al processo dell’attivista Angela Davis. Gli agenti avevano cominciato a raccogliere informazioni sul suo casellario giudiziario affinché il ministero dell’immigrazione  potesse, ‘nel caso in cui avesse voluto, prendere delle misure al fine di impedire a Sartre l’ingresso in Canada’, scriveva Parent”

Tra gli intellettuali più influenti del XX secolo, Sartre è stato, insieme alla sua inseparabile compagna, Simone De Beauvoir, uno strenuo sostenitore delle battaglie per i diritti civili dei paesi di tutto il mondo. Teorico dell’impegno anche in letteratura, rifiutò il premio nobel ottenuto nel 1964 con il testo autobiografico “Les Mots”. “Nessun uomo merita di essere consacrato da vivo”, disse in quell’occasione.

Alla fine degli anni 60 il Canada è uno Stato in rivolta. Il Movimento del ’68, importato dai vicini Stati Uniti e veicolato dagli scritti degli studenti francesi del Maggio, investe con forza il paese. È nella provincia francofona del Québec, la maggiore regione canadese, che le lotte per i diritti civili si manifestano in maniera più violenta, anche e soprattutto grazie alle spinte indipendentiste dei québecquois socialisti. Il principale organo della “resistenza” è il Fronte di Liberazione del Québec (FLQ), un’organizzazione di estrema sinistra fondata dal rivoluzionario belga George Schoeters. Alcuni dei gruppi più estremisti in seno al FLQ organizzarono una serie di attentati volti ad accelerare le politiche separatiste.

Al principio dell’ottobre 1970 la cellula Libération sequestra James Richard Cross, commissario commerciale britannico in visita ufficiale. Pochi giorni dopo, un altro commando rapisce e uccide (forse in maniera accidentale) il Ministro del Lavoro Pierre Laporte.

Ha inizio la “Crisi d’ottobre”, per il Canada, il periodo più buio della sua storia moderna, paragonabile ai 55 giorni del sequestro Moro in Italia. Il 16 ottobre, il Governo centrale proclama lo stato d’assedio. Viene schierato l’esercito: migliaia di soldati sorvegliano i confini del Québec, impedendo a chiunque di lasciare la regione. Vengono sospesi i diritti civili. Una serie di “leggi speciali” antiterrorismo vengono approvate dal Parlamento: la Loi sur les mesures de guerre, voluta personalmente dal Primo Ministro canadese Pierre Elliott Trudeau, consente la detenzione preventiva, sulla base del semplice sospetto e senza alcuna imputazione, fino a 90 giorni. Segue un’ondata impressionante di arresti: 457 persone finiscono in carcere. Tra di esse, decine di attori, scrittori, giornalisti e militanti politici.

L’anno successivo, Jean-Paul Sartre dichiara di voler visitare il paese per poter manifestare il suo sostegno agli arrestati. L’interesse di Sartre per la causa quebecchese risale al 1952, quando l’intellettuale pronunciò un discorso al Parlamento francese, dichiarandosi a favore della indipendenza. Fu in quell’occasione, come si apprende dai documenti pubblicati dalla stampa canadese, che gli agenti della polizia federale aprirono un fascicolo sul suo conto.

L’appoggio di un intellettuale del calibro di Sartre rappresenta un pericolo per il Governo canadese. I funzionari del GRC comunicano quindi con i loro corrispettivi francesi, si fanno spedire da Parigi un resoconto dettagliato della vita politica e personale del filosofo. In Europa, Sartre viene tenuto sotto controllo dal Congrès pour la Liberté de la Culture, un’associazione anti-comunista attiva in 35 paesi e finanziata con dollari CIA.

Ma quel viaggio Sartre non farà in tempo a farlo. Il 18 maggio un colpo apoplettico lo rende cieco e semiparalizzato. Il suo impegno continuerà fino all’ultimo, negli articoli e nei pamphlet politici (com “Ribellarsi è giusto”, del 1974), benché la malattia gli impedisca di recarsi in America. Un gruppo di simpatizzanti del Movimento per la Difesa dei Prigionieri politici in Québec lo intervista nella sua casa di Parigi. L’“affaire Sartre”, per i servizi segreti canadesi, si chiude lì.

Il fondatore dell’Esistenzialismo è solo l’ultimo di una lunga serie di illustri personalità della cultura tenute sott’occhio da questo o quell’altro bureau. Scrittori, attori, musicisti, poeti e persino scacchisti, spulciando negli archivi dei Servizi d’Informazione (Renseignements li chiamano semplicemente i francesi) si può trovare di tutto.

L’attività di controllo su intellettuali e artisti è pratica usuale per gli 007, siano essi occidentali o sovietici. Uomini che, per la loro influenza, rischiavano di orientare l’opinione pubblica, se non di turbare direttamente gli equilibri di potere. Solo in Italia, il famigerato “Piano Solo” del generale del SIFAR De Lorenzo prevedeva il rapimento e la deportazione in Sardegna di 700 persone tra sindacalisti e intellettuali vicini al PCI (ma anche alla sinistra della DC). Colpevoli perché uomini di cultura.

“Non facciamo quello che vogliamo, e tuttavia siamo responsabili di quel che siamo”, ha scritto una volta Sartre. La sua responsabilità, come sempre, fu quella di schierarsi. Un impegno che, agli occhi dei grigi funzionari del servizio di sicurezza di un paese molto lontano, bastò per fare di lui una minaccia alla democrazia.

La scomparsa di Bruno Bréguet

Bruno Bréguet è un militante politico svizzero attivo fra gli anni 70 e gli anni 80. La sua carriera di terrorista inizia prestissimo. Nel 1970, non ancora ventenne, viene arrestato nel porto di Haifa, Israele, con due chili di esplosivo nella cintura: un regalo del Fronte Popolare della Palestina di George Habash. Condannato a 15 anni di prigione, ne sconterà 7. Scarcerato nel ’77 anche grazie all’appello di numerosi intellettuali (tra i firmatari della petizione in suo favore compaiono i nomi di Jean Paul Sartre e Alberto Moravia), Bréguet entra ben presto a far parte dell’ORI, l’organizzazione di Ilich Ramírez Sánchez, alias Carlos. Nel 1982 viene arrestato assieme a Magdalena Kopp, moglie del terrorista venezuelano ed anch’essa membro del gruppo: i due avevano in programma un attentato agli Champs Elysées. Dopo 3 anni e mezzo di prigione, nel 1985 Bréguet è di nuovo a piede libero. Scompare nel nulla tra l’11 ed il 12 novembre 1995, sulla rotta tra l’Italia e la Grecia. Di lui, fino ad oggi, non si è più saputo nulla. Una serie di e-mail dell’agenzia di intelligence Stratfor, pubblicate nei giorni scorsi da WikiLeaks, forniscono informazioni inedite sulla sua misteriosa scomparsa. Porto di Ancona, 10 novembre 1995. Il traghetto si addossa al molo con un tonfo sordo. I motori tuonano ancora mentre l’equipaggio assicura con qualche cima il “Lato”, una nave da 25mila tonnellate della compagnia greca Anek Lines. Un odore forte di nafta si sparge nell’aria salmastra: sembra scollarsi dal metallo pitturato di bianco dello scafo. La ringhiera di ferro del ponte è umida e scivolosa. Bréguet sale in macchina, mette in moto e si dirige verso l’uscita del ferry. L’aria è fresca, ma non fa così freddo per essere a metà novembre.

Non tira neppure troppo vento, ed il cielo, coperto da un grigio chiaro, getta ogni tanto un raggio di luce sul parabrezza dell’auto. Bréguet ha 45 anni, i capelli corti e folti, i lineamenti delicati di un ragazzo. Non ha l’aria di uno che ha passato più di dieci anni in carcere.
Ha già compiuto quella traversata diverse volte: da qualche tempo vive tra la Grecia e la Svizzera, e l’Italia è una tappa obbligata. La cosa non gli dispiace, Bruno parla bene italiano, tanto che una delle sue false identità, quando era nel gruppo di Carlos, era proprio italiana. “Luca”, era il suo nome in codice. Niente a che vedere con i vari “Johnny”, “Steve”, “Lily” e “Heidi” che si erano scelti i suoi compagni d’armi.
E’ passato tanto tempo da allora. L’estate prima in Sudan, i servizi francesi hanno arrestato Carlos, lo Sciacallo, dopo vent’anni di latitanza. Bruno, dal canto suo, ha scontato la sua pena. Dopo il fallito attentato di Parigi, nel 1982, è uscito ufficialmente dal gioco. Nel 1986 è stato a Damasco, in Siria, probabilmente ad un incontro con i vecchi membri dell’ORI, ma da quel momento in poi il suo nome non compare più in alcun rapporto. Nessun riferimento. È in pensione adesso, Bruno. Ha una compagna, Carol, ed una bambina di 2 anni che ha i suoi stessi occhi: Shona. Per guadagnarsi da vivere fa il carpentiere. I mesi estivi li passa a Perdika, un piccolo villaggio di pescatori nell’Epiro non lontano da Igoumenitsa, il porto da cui salpano le navi che collegano l’Italia alla penisola ellenica, e dal quale è partito anche lui il giorno prima. Lui e Carol-Anne hanno comprato una piccola casa lì. Il resto dell’anno vive in Ticino, dai genitori e dal fratello, con qualche soggiorno in Austria.
L’auto scende dal traghetto a passo d’uomo. Un breve controllo alla frontiera e Bréguet potrà ripartire con la sua famiglia verso la Svizzera. Lo fa ogni cambio di stagione, ma questa volta è diverso. I doganieri italiani lo fermano, lo tempestano di domande: sospettano che stia trasportando un carico d’armi. Gli chiedono di aprire il portabagagli, perquisiscono la macchina, frugano dappertutto; ma non trovano niente. “Lei è persona non gradita sul suolo italiano”, gli dice un agente. “La sua famiglia può proseguire, lei invece non può passare”. Bréguet riesce comunque a fare una telefonata. Chiama suo fratello a Lugano, gli spiega la situazione. Non è la prima volta che, arrivato alla frontiera italiana, viene respinto. Gli era già successo l’anno prima. Un bel fastidio, certo, ma niente di grave. “Se non avete mie notizie nel giro di tre o quattro giorni, significa che ci sono problemi”, dice prima di riattaccare. Viene quindi imbarcato nuovamente sul “Lato” e rispedito in Grecia.
Il capitano del traghetto, interrogato dalla polizia greca, riferirà di averlo visto fino a venti minuti prima dell’approdo. Quando la nave attracca al porto di Igoumenitsa, Bréguet viene chiamato al megafono per riavere i documenti che gli erano stati requisiti durante il viaggio, ma non si presenta. Nessuno lo vede scendere dal ferryboat. Non c’è traccia di lui nelle cabine. Che fine ha fatto Bruno Bréguet? 
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Il “Lato” non è una nave piccola, è la nave ammiraglia della flotta. E’ lunga 190 metri, può ospitare almeno 1500 passeggeri e più di 800 automobili. Se Bréguet fosse voluto scendere dalla nave senza farsi notare avrebbe certamente potuto, ma per quale motivo? Non c’è nessun mandato d’arresto sul suo conto, non viaggia sotto falso nome ed è fuori dal giro del terrorismo internazionale ormai da anni. Carol e Shona lo aspettano per andare insieme in Svizzera ed i documenti gli sono indispensabili. Secondo il comandante è impossibile che Bréguet sia caduto in mare prima dell’approdo: la maggior parte dell’equipaggio si trova sul ponte in quel momento, per le operazioni di attracco.
La sua presenza sarebbe stata notata. Bréguet è stato rapito? Forse caricato a forza in un portabagagli e trasferito altrove, lontano da occhi indiscreti? Il fratello di Bruno, Ernesto, ne è convinto. Fonti interne all’intelligence greca gli avrebbero confermato che Bruno è stato prelevato dai servizi segreti ellenici, probabilmente su mandato dell’antiterrorismo francese, per ottenere informazioni da utilizzare contro Carlos nel processo che si sarebbe tenuto lì a breve. Una tesi ricorrente, sostenuta da diverse fonti, è che Bréguet sia morto durante un interrogatorio particolarmente “duro”. Ucciso dai servizi, quindi.
Ma di quale paese, questo è un mistero. È stato il Mossad? O sono stati piuttosto gli uomini della CIA, in una base in Ungheria, a far fuori lo svizzero? Da anni le ipotesi si rincorrono, senza che nessuno sia in grado di confermarne l’attendibilità.